Ho capito la reale importanza del tasto Ctrl sulla tastiera del computer solo dopo aver appreso che la sua pressione mette immediatamente il bavaglio al vecchio Jaws.
Questo malefico programma, una volta avviato (e la sua esecuzione era programmata in automatico su tutti i computer dell’associazione) era peggio di una vecchia comare di paese affacciata alla finestra: parlava, parlava e, anche quando sembrava aver esaurito gli argomenti, riprendeva daccapo.
Ora che finalmente conoscevo il suo punto debole, il cervello era corso ai ripari e la falange del mignolo sinistro scattava impietosa sul tasto Ctrl ogni qualvolta volevo chiudere la finestra in faccia a quella vecchia bisbetica dalla voce insopportabile: Bla bla bla… ctrl, bla bla… Ctrl, bla… CTRL!”
Più passavano i giorni in associazione e più mi rendevo conto di quanto straordinario fosse il meccanismo cerebrale che è alla base dell’ascolto. Mi riferisco a tutti quei casi in cui, più o meno inconsciamente, il nostro cervello discerne le informazioni importanti da quelle superflue, filtrando ad esempio la voce di una persona nel brusio generale, le parole di tua moglie quando nella stanza è accesa la televisione e, nel nostro caso, un dialogo con qualcuno quando nell’auricolare che tieni all’orecchio blatera costantemente la voce metallica della sintesi vocale.
Oggi, a pensarci bene, non è poi così strano; se i nostri sensi dovessero dar retta a qualsiasi sollecitazione esterna, probabilmente la testa ci esploderebbe ancor prima di fare colazione.
Tuttavia, al tempo, l’aspetto che più mi faceva riflettere era che questa particolare abilità, di certo innata, necessita di allenamento costante.
Dopotutto, anche pinocchio aveva un grillo parlante che gli dispensava consigli all’orecchio ma sappiamo tutti quanto peso il burattino desse alle sue parole!
Penso sia circa la stessa cosa: un non vedente non “impara” a usare lo screen reader, si “addestra”, e lo fa stimolando un’abilità innata (discernere le informazioni utili da quelle meno utili) che diventa stabile e naturale solo se allenata con costanza e coscienza di quanto sia vitale (discernere le informazioni utili della sintesi vocale da quelle meno utili).
Chi come me ha tenuto corsi di alfabetizzazione informatica per non vedenti, sa che esistono principalmente due tipologie di utenti che usano lo screen reader: quelli che ascoltano ogni singola parola delle sintesi vocali, e quelli che danno retta solo al 2% di quello che dice la vecchia bisbetica.
Alla prima categoria appartengono i veterani, alla seconda, i neofiti.
L’operatività al computer è fatta per la maggior parte da piccole operazioni ripetitive, la cui corretta esecuzione è funzionale solo in relazione alla successiva azione da compiere e con l’aspettativa di un risultato ben preciso. Tutte le informazioni contestuali che ogni volta si presentano sul monitor, (messaggi di stato, di caricamento, di elaborazione, di corretta esecuzione) vengono perlo più ignorate (in realtà inconsapevolmente recepite). Poco importa se queste informazioni si apprezzano con la vista o con l’udito; il cervello le interpreta allo stesso modo e tende a dedicargli, col tempo, sempre minore attenzione.
I neofiti dello screen reader sono proprio come me: tendono a cercare significato tra tutte le chiacchiere della bisbetica, e – esasperati – la domano con il mignolo sinistro.
Tutte le volte che ho affiancato persone non vedenti al computer, piuttosto che chiedere “da quanto tempo usi lo screen reader?” ho sempre preferito verificarlo di persona contando il numero di pressioni del tasto ctrl nei primi minuti della nostra lezione.
Lo dico subito, giusto per evitare fraintendimenti. Alzo le mani in segno di resa perché, lo ammetto, non ho problemi di vista.
Perché lo faccio? Per anticipare sul nascere frasi come “ok, ma questo ci vede, cosa vuoi che ne sappia dei non vedenti” o il sempreverde “lei crede di sapere come ragionano i ciechi ma sbaglia di grosso” ma soprattutto per offrire un facile alibi a chiunque si senta in dovere di sottolineare la mia “mancanza di mancanza”.
Lo dico e lo ribadisco al nostro primo incontro perché mi piace dare il peggio di me all’inizio, quando non ho niente da perdere e tutto da guadagnare e soprattutto perché, da pessimo giocatore di poker quale sono, preferisco barare il meno possibile.
Quindi, ricapitolando, sono un vedente che parla di non vedenti.
E ora che non ho più niente da nascondere, posso raccontarvi la mia storia.